mitico alfi
di rimbalzo dal blog di giorgia, eccovi l'ironica e amarissima invettiva di alfonso antoniozzi:
Ma sì, ma perchè dobbiamo stare qui a perdere
tempo dietro ai teatri lirici, che diciamoci la verità
sono un baraccone insostenibile che ormai è imploso
e che non aspetta altro che di esplodere facendo
schizzare per tutta la città pezzi di corde vocali,
note musicali, fogli di musica, archetti, cantinelle,
praticabili e quant'altro li riempia da sempre,
insieme a carte, cartacce, documenti, ritenute
d'acconto, ruolini ENPALS e tutto l'ambaradan che
la moderna amministrazione richiede per un
efficiente funzionamento della baracca.
Ma abbiate il coraggio di dirlo che non ve ne frega
più niente, che saremmo molto più utili alla società
dietro un bancone di supermercato o a spalare
merda nelle varie Fattorie televisive o, meglio,
messi a pecora sulla Salaria per cinquanta euro a
botta salvo sconti a militari e appassionati, tanto
anche se non lo dite appare evidente lo stesso che
la volontà neanche troppo nascosta è quella di farci
chiudere baracca e burattini senza che nessuno alzi
un dito a Roma e, peggio, senza che nessuno si
assuma la responsabilità morale e materiale di
buttarci tutti in mezzo a una strada.
Coraggio, su, ditelo : della lirica non ce ne frega
un beato piffero, ooooh, lo vedete che è liberatorio?
E tanto peggio se il resto del mondo parla italiano
anche (direi principalmente) grazie a Verdi, Puccini
e compagni, se in questo esatto momento da
qualche parte del globo viene rappresentata un'opera
italiana, se ogni anno migliaia di giovani di tutto il
mondo si innamorano della nostra musica, e studiano
la nostra lingua, e cercano di cantare all'italiana, ma
chi se ne frega, ma chiudiamoli questi teatri, cazzo!
Chiudiamoli sul serio però, senza tagliare fondi con le
varie finanziarie, senza questo sgocciolio di rubinetto
sempre più esile, sempre più misero, che ci costringe
a risparmiare settanta euro di scenografia per far
quadrare il bilancio, che spinge i teatri a pagare con
quaranta-sessanta giorni di ritardo, che mette tutti
nella condizione non dico di fare sacrifici, sarebbe
il minimo, ma di indebitarsi NOI con le banche perchè
lo stato (minuscolo, minuscolo e basta) i soldi li
sgancia PER QUALUNQUE ALTRA STRONZATA ma
non per la lirica.
Ma chi se ne frega di questi quattro pachidermi
cerebrolesi che cantano Amami Alfredo, ma chi
cazzo è Alfredo poi? Che non si capiscono le trame,
diciamo la verità, e meno male che ci sono i
sottotitoli, ma perchè non li doppiano IN I-TA-LIA-NO
'sti cantanti, che non si capisce perchè siano tanto
speciali, che mi significa cantare a voce piena
QUANDO CI STA IL MICROFONO!!!
Siamo nel duemilasei, ohè, sveglia!
E i coristi, e gli orchestrali, ma sarà mica un
mestiere, il lavoro fa SU-DA-RE, porca miseria,
mica è un divertimento, me lo dicono sempre i
Carabinieri quando mi fermano per un controllo,
che mestiere fa? Il cantante lirico. Vabbè, ma di
mestiere!? PETTINO LE BAMBOLE ALLA FURGA,
tutti i giorni dalle otto alle sei, perchè, che vi credete
che escono pettinate da sole dalle macchine, no no,
LE PETTINO IO, tutte io, va bene?
Chiudiamo i teatri, chiudiamoli, abbiate pietà di noi,
non manteneteci nell'illusione che gliene freghi
ancora qualcosa a qualcuno, di star facendo qualcosa
di buono, di essere capaci di toccare l'anima di chi
ascolta, ma quale anima, l'anima LA TOCCA IL PAPA
anche se quando parla sembra una delle Gemelle
Kessler (quella più cattiva) chiudiamoli 'sti teatri,
in fondo noi possiamo sempre provare ad aprire un
bar, una tabaccheria, un tappeto su ponte santangelo,
e coi teatri facciamoci UN BEL GARAGE, che di questo
hanno bisogno le città, altro che di musica e di
cultura, la musica la fa Povia coi piccioni, la cultura
Marzullo, non scherziamo, altro che zumpappà,
e annamo, su!
FACCIAMOCI UN GARAGE multipiano, uno per città,
che meraviglia, finalmente i diciasette piani di torre
del Carlo Felice di Genova saranno utili alla comunità,
tutti potranno entrare alla Scala (e in macchina!!!),
il Petruzzelli lo ritirano su in una notte e forse allora
a Piacenza sapranno dove cazzo è il Teatro Comunale
visto che venti persone cui l'ho chiesto mi hanno
risposto boh e lo sapeva solo un ecuadoregno di
passaggio (il che rafforza la mia fede: la salvezza
verrà, forse, solo dall'immigrazione!)
FACCIAMOCI UN GARAGE!
Noi ex lavoratori dello spettacolo lirico chiediamo
solo, in cambio, un'agevolazione sui prezzi del
mensile per parcheggiare il nostro furgone della
porchetta in un posto che, in fondo, era casa nostra.
1 Comments:
GLI EDITORIALI DI ANTONELLO DE PIERRO DIRETTORE DI ITALYMEDIA.IT
Vergognati, Maurizio!
di Antonello De Pierro
E' un grido di dolore quello che si leva da qualche mese dal mondo della cultura, dopo che la televisione ha catapultato nelle case degli italiani il discusso programma denominato "Grande Fratello", creando un prodotto inconsistente, che è stato immediatamente e incomprensibilmente rapito dalle cronache dei media. E quando parlo di cultura naturalmente mi riferisco a quella con la c maiuscola, quella dei grandi (purtroppo pochi) uomini, quella nella sua accezione più ampia, quella che ha da sempre rifiutato di nutrirsi di surrogati ideologici e di imparare la lezione della buona ipocrisia, tanto amata dai più. Eppure la televisione, che ormai da anni affoga in una programmazione demenziale, diseducativa, ripetitiva e scadente, ci aveva abituati da tempo allo squallore delle telenovelas e della soap opera, incollando ai teleschermi il popolo televisivo delle casalinghe, col grembiule al ventre, che tra un bucato e l'altro, per innaffiare l'arido giardino della solitudine giornaliera, si incantavano e sognavano di fronte ai miti improbabili di "Beatiful" o di "Quando si ama". Si trattava sempre e comunque di artisti che, costretti da esigenze professionali e allettati da ingaggi stratosferici, legavano il proprio nome a produzioni di scarso valore culturale. Con il "Grande Fratello" si è valicato ogni limite di decenza, i colossali interessi economici hanno relegato in soffitta qualsiasi senso di moralità. Un manipolo di ragazzi comuni, messi per cento giorni a colloquio con l'occhio freddo di una telecamera "guardona", sbattuti davanti a pupille spalancate collegate a cervelli altrettanto ristretti, e scaraventati verso una notorietà di cartone non supportata da un'adeguata preparazione professionale. Un business ben congegnato, che ha affondato facilmente le radici in un terreno intriso di sottocultura e ignoranza, atto a spremere come limoni le illusioni di un gruppo di giovani che forse avrebbero potuto intraprendere carriere sicuramente più idonee alle loro attitudini, piuttosto che essere magnificati dai "polli d'allevamento" dell'Italia provinciale che si entusiasma di fronte a tutto ciò che passa sul piccolo schermo, ma essere sottoposti giustamente al mortificante rito dell'irrisione da parte delle vere teste pensanti nazionali. Ed ecco invece i vari Pietro, Salvo, Marina, Cristina, Rocco, Lorenzo, invasati da una droga che si chiama successo, correre con la naturalezza dell'inevitabile, a suon di apparizioni varie, verso un futuro incerto, segnato da suggestioni pseudo-professionali. Di fronte ad una tale situazione non posso avvolgere le mie parole nella carta zuccherata e rinunciare a dissotterrare l'ascia di guerra della polemica. C'è una categoria in Italia fortemente rappresentata, quella degli artisti veri, spinti dal comando imperioso di un'acrobatica passione per lo spettacolo, che annaspa da sempre nell'oceano della precarietà e vive costantemente in bilico sul baratro della disoccupazione. Le scuole di preparazione artistica ne sfornano a centinaia; basta girare i teatri, anche i più piccoli, per scoprire veri talenti, di cui l'Italia non è mai stata avara. E invece ecco apparire improvvisamente sulla scena Marina La Rosa, che ubriacata dalla popolarità riesce ad offendere finanche quei fotografi che da sempre hanno fatto la fortuna dei vip, definendoli "braccia rubate all'agricoltura"; la Sofia nazionale ancora venera i professionisti dei flash a raffica ( comunque c'è da dire che sulla Loren le brume del mito si sono posate davvero). Ma il prodotto più scandaloso si chiama Pietro Taricone, che calzando la sua normale faccia da bullo di paese riesce incredibilmente a vendere la sua presenza a fior di milioni nelle discoteche di provincia e nei suoi sogni lascia ingenuamente galleggiare un futuro alla Kevin Costner: l'importante è crederci, ma purtroppo il risveglio sarà doloroso e disastroso
E' già criticabile l'operazione, che ha messo a nudo il livello di sottocultura di gran parte degli italiani, ma purtroppo per i produttori televisivi, non è facile sacrificare i propri interessi sull'altare della cultura, della moralità e del buonsenso. Ma quando un giornalista di grande spessore, con vocazione da imprenditore, marcia con i cingoli sopra ogni principio etico-professionale, allora
il caso diventa inquietante. Quanta popolarità in meno avrebbero ottenuto i ragazzi "usa e getta" del "Grande Fratello" se non fossero stati foraggiati dall'ala protettiva di Costanzo, che li ha aiutati a continuare la semina dei germi di tutti gli aspetti deteriori dell'odierna società? Probabilmente i valori del grafico di notorietà sarebbero molto più modesti. Caro Maurizio, pesa su di te una forte responsabilità morale, sia nei confronti di quelli che il successo l'hanno cucito sulla propria pelle, strappando l'ago e il filo a rinunce e sacrifici fatti nelle scuole, nei teatri, nelle piazze, e sia nei confronti delle fasce più deboli dell'esercito dei telespettatori. Ho visto un giorno in un mercato un bambino giocare con dei soldatini e chiamarli con i nomi dei protagonisti del grande fratello. Hai sostenuto una trasmissione che, anche se con un ipocrita "bip" celava certe espressioni colorite, non dava comunque molto spazio all'immaginazione per capire, risultando quindi altamente diseducativa, tenuto conto anche della fascia oraria in cui veniva trasmessa. Sono tanti i petali di simpatia persi da te in questa occasione. Infine, colpito da un delirio di onnipotenza hai pensato bene di organizzare una puntata chiamata "Pietro contro tutti" in prima serata, con un Taricone versione re dei "coatti", con canotta strizzamuscoli senza maniche, a troneggiare sul palco del teatro Parioli, ingaggiando un vittorioso "braccio di ferro" a colpi di audience con "La Piovra", pellicola a interesse sociale in onda su Raiuno, mettendo a nudo ancora una volta, se qualcuno avesse avuto qualche ulteriore dubbio, il livello culturale dei telespettatori del "Maurizio Costanzo Show". Un'ennesima conferma di come un grande giornalista abbia potuto bruciare sulla graticola dell'interesse economico, perché audience per te vuol dire sponsor, non dimentichiamolo, la propria credibilità professionale. Del resto in nome dell'audience avevi già rifiutato di ospitare in trasmissione i rappresentanti del "Comitato Vittime del Portuense", perché chiaramente ventisette morti per te non hanno importanza, sono solo una lugubre contabilità di normale amministrazione giornaliera, di fronte al sacro inchino al potere dello sporco Dio denaro, a cui ti sei convertito e sottomesso. Vergogna!
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