su Avvenire
manuela ha scritto ad "Avvenire", e la sua lettera è stata pubblicata il 4 novembre (si vede che sono un po' indietro coi compiti?):
IL DIRETTORE RISPONDE
Finanziaria: quanto valgono arte e cultura
Manuela Giacomini
Caro Direttore,
nel nome del quotidiano "Avvenire" è già racchiuso un messaggio di speranza, mentre oggi io sento solo un forte senso di angoscia. Ho molta paura di quello che verrà domani. Mi è stato fatto un grande dono, e dopo anni di seri studi e sacrifici ho raggiunto quello che per me era un grande traguardo: diventare una cantante lirica e vivere onestamente del frutto del mio lavoro. Adesso, o dovrei dire per ora, lavoro come artista del coro al Teatro Regio di Torino, e come me tanti altri: siamo 350 circa fra coristi, orchestrali, macchinisti, sarte, truccatrici. Siamo le maestranze dello spettacolo, siamo il cuore della grande macchina che tiene in vita la memoria storica musicale di un intero Paese che ormai troppo spesso si dimentica del proprio immenso patrimonio culturale. Trovo devastante che nessuno ci consideri. Si parla solo degli sperperi, dei compensi da favola, di amministrazioni ladresche, ma noi semplici lavoratori che cosa c’entriamo? Stanno facendo di tutto per chiudere questi teatri. Ogni giorno compro i giornali sperando di leggervi qualche autorevole protesta contro questo imminente disastro, ma siamo purtroppo invisibili. Parlatene voi, vi prego. La Chiesa ha da sempre riconosciuto il valore dell’arte, addirittura sono stati i sagrati i primi luoghi della rappresentazione teatrale. I grandi Papi della storia commissionavano opere a Michelangelo, a Caravaggio, a Pontormo, i cui capolavori sono una gioia non solo per gli occhi ma anche per l’anima. E come non ricordare la profondità spirituale delle note di Palestrina, come non immaginare il giovane Mozart che nella Cappella Sistina ascolta il "Miserere" di Allegri e ne riceve un’impronta indelebile... Sono solo un’artigiana dell’arte, la semplice corista di un teatro, però sento una grande responsabilità perché insieme ad altri 200mila lavoratori contribuisco alla rappresentazione di un’opera che è il frutto di doni divini. Si può permettere che questi frutti siano considerati obsoleti? Inutili? Frivoli? C’è qualcosa di sciocco quando in una cantata di Bach percepisco la dimensione trascendente della nostra vita? Quando nelle "Nozze di Figaro" ascolto il Conte chiedere perdono alla moglie offesa piango, perché in quel pentimento sento il paradosso insito nell’essere umano, la contraddizione di sentimenti che ti fa sbagliare e poi capire. Dobbiamo negare a tutti l’emozione che si prova all’inizio del "Deutsche Requiem" di Brahms, quando il suono di pochi strumenti nasce dal nulla e si dilata in una successione di battute che non danno spazio a null’altro se non a un momento magico e perfetto? Perché se l’uomo è debole per definizione, l’arte è veramente perfetta! Non lasciateci a combattere da soli.
I contestati tagli della Finanziaria al Fondo unico per lo spettacolo e le esternazioni del premier circa i presunti sprechi della Scala – il più illustre dei teatri lirici italiani, fiore all’occhiello della nostra cultura nel mondo – hanno in qualche misura acceso i riflettori della pubblica attenzione sulla situazione dei lavoratori del settore musicale, persone la cui carriera è sempre il punto d’arrivo di un tirocinio severissimo – fatto innanzitutto di talento, ma anche di studi, di sacrifici, di applicazione – come lei stessa ci conferma. Capisco la sua tristezza per uno scenario – mi si passi l’immagine appunto teatrale – che s’è fatto complicato e inquietante, quando non avvilente, lasciando intravedere – nella generale gestione di un patrimonio strategico quali i beni culturali – una certa deriva che il pur volenteroso impegno del ministro Buttiglione non basta, per ora, a scongiurare. Una deriva dalle molte cause, tempestosa, dove la fragile zattera del nostro teatro di prosa e lirico appare sballottata tra flutti perigliosi: le ristrettezze di bilancio, la «rivolta» delle maestranze, l’improvvida litigiosità dei politici che siedono nei consigli d’amministrazione a rappresentare le istituzioni. Ma sono certo, cara Manuela, che questi argomenti negativi non basterebbero comunque a scoraggiare una persona "vocata" all’arte quale senz’altro lei è. Forse ciò che più la ferisce è l’insensibilità; lei paventa il timore che nella confusione e nel «disastro» del presente vada smarrita la ricchezza del passato, quella bellezza che è il retaggio di una grande scuola, di una tradizione culturale nobile e somma, che ogni Paese ammira e ci invidia. In fondo le sue parole così delicate, e quasi spirituali, certo accorate, sono la riprova che la musica – come scrisse Baudelaire – è davvero «il linguaggio caro alle anime profonde». Avvenire continuerà a seguire la vicenda e le sorti dei nostri enti lirici e musicali, come del resto ha sempre fatto, soprattutto in considerazione del valore di quest’arte meravigliosa, di cui la Chiesa è stata – ed è – patrona; un’arte – la musica – che non a caso è stata levatrice di luminose figure di artisti e di credenti, basti ricordare tra i vicini Luciano Chailly e Carlo Maria Giulini, da poco scomparsi, che hanno saputo deliziarci – oltre che con le note – anche con intuizioni e parole illuminanti. La bellezza non è frivola, ma è certamente fragile. Richiede memoria e tutela, responsabilità alle quali – per quanto ci compete – non ci sottrarremo, unendoci al coro di chi ha a cuore questi «doni divini». La saluto con ammirazione.
Finanziaria: quanto valgono arte e cultura
Manuela Giacomini
Caro Direttore,
nel nome del quotidiano "Avvenire" è già racchiuso un messaggio di speranza, mentre oggi io sento solo un forte senso di angoscia. Ho molta paura di quello che verrà domani. Mi è stato fatto un grande dono, e dopo anni di seri studi e sacrifici ho raggiunto quello che per me era un grande traguardo: diventare una cantante lirica e vivere onestamente del frutto del mio lavoro. Adesso, o dovrei dire per ora, lavoro come artista del coro al Teatro Regio di Torino, e come me tanti altri: siamo 350 circa fra coristi, orchestrali, macchinisti, sarte, truccatrici. Siamo le maestranze dello spettacolo, siamo il cuore della grande macchina che tiene in vita la memoria storica musicale di un intero Paese che ormai troppo spesso si dimentica del proprio immenso patrimonio culturale. Trovo devastante che nessuno ci consideri. Si parla solo degli sperperi, dei compensi da favola, di amministrazioni ladresche, ma noi semplici lavoratori che cosa c’entriamo? Stanno facendo di tutto per chiudere questi teatri. Ogni giorno compro i giornali sperando di leggervi qualche autorevole protesta contro questo imminente disastro, ma siamo purtroppo invisibili. Parlatene voi, vi prego. La Chiesa ha da sempre riconosciuto il valore dell’arte, addirittura sono stati i sagrati i primi luoghi della rappresentazione teatrale. I grandi Papi della storia commissionavano opere a Michelangelo, a Caravaggio, a Pontormo, i cui capolavori sono una gioia non solo per gli occhi ma anche per l’anima. E come non ricordare la profondità spirituale delle note di Palestrina, come non immaginare il giovane Mozart che nella Cappella Sistina ascolta il "Miserere" di Allegri e ne riceve un’impronta indelebile... Sono solo un’artigiana dell’arte, la semplice corista di un teatro, però sento una grande responsabilità perché insieme ad altri 200mila lavoratori contribuisco alla rappresentazione di un’opera che è il frutto di doni divini. Si può permettere che questi frutti siano considerati obsoleti? Inutili? Frivoli? C’è qualcosa di sciocco quando in una cantata di Bach percepisco la dimensione trascendente della nostra vita? Quando nelle "Nozze di Figaro" ascolto il Conte chiedere perdono alla moglie offesa piango, perché in quel pentimento sento il paradosso insito nell’essere umano, la contraddizione di sentimenti che ti fa sbagliare e poi capire. Dobbiamo negare a tutti l’emozione che si prova all’inizio del "Deutsche Requiem" di Brahms, quando il suono di pochi strumenti nasce dal nulla e si dilata in una successione di battute che non danno spazio a null’altro se non a un momento magico e perfetto? Perché se l’uomo è debole per definizione, l’arte è veramente perfetta! Non lasciateci a combattere da soli.
I contestati tagli della Finanziaria al Fondo unico per lo spettacolo e le esternazioni del premier circa i presunti sprechi della Scala – il più illustre dei teatri lirici italiani, fiore all’occhiello della nostra cultura nel mondo – hanno in qualche misura acceso i riflettori della pubblica attenzione sulla situazione dei lavoratori del settore musicale, persone la cui carriera è sempre il punto d’arrivo di un tirocinio severissimo – fatto innanzitutto di talento, ma anche di studi, di sacrifici, di applicazione – come lei stessa ci conferma. Capisco la sua tristezza per uno scenario – mi si passi l’immagine appunto teatrale – che s’è fatto complicato e inquietante, quando non avvilente, lasciando intravedere – nella generale gestione di un patrimonio strategico quali i beni culturali – una certa deriva che il pur volenteroso impegno del ministro Buttiglione non basta, per ora, a scongiurare. Una deriva dalle molte cause, tempestosa, dove la fragile zattera del nostro teatro di prosa e lirico appare sballottata tra flutti perigliosi: le ristrettezze di bilancio, la «rivolta» delle maestranze, l’improvvida litigiosità dei politici che siedono nei consigli d’amministrazione a rappresentare le istituzioni. Ma sono certo, cara Manuela, che questi argomenti negativi non basterebbero comunque a scoraggiare una persona "vocata" all’arte quale senz’altro lei è. Forse ciò che più la ferisce è l’insensibilità; lei paventa il timore che nella confusione e nel «disastro» del presente vada smarrita la ricchezza del passato, quella bellezza che è il retaggio di una grande scuola, di una tradizione culturale nobile e somma, che ogni Paese ammira e ci invidia. In fondo le sue parole così delicate, e quasi spirituali, certo accorate, sono la riprova che la musica – come scrisse Baudelaire – è davvero «il linguaggio caro alle anime profonde». Avvenire continuerà a seguire la vicenda e le sorti dei nostri enti lirici e musicali, come del resto ha sempre fatto, soprattutto in considerazione del valore di quest’arte meravigliosa, di cui la Chiesa è stata – ed è – patrona; un’arte – la musica – che non a caso è stata levatrice di luminose figure di artisti e di credenti, basti ricordare tra i vicini Luciano Chailly e Carlo Maria Giulini, da poco scomparsi, che hanno saputo deliziarci – oltre che con le note – anche con intuizioni e parole illuminanti. La bellezza non è frivola, ma è certamente fragile. Richiede memoria e tutela, responsabilità alle quali – per quanto ci compete – non ci sottrarremo, unendoci al coro di chi ha a cuore questi «doni divini». La saluto con ammirazione.
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