da L'Unità di oggi
Intervento della sen. Vittoria Franco
responsabile nazionale Ds per la Cultura
L'Unità
29 novembre 2005
INVESTIRE SI', MA IN CULTURA
È possibile ridare slancio alla cultura nel nostro Paese? Certo, il punto da cui siamo costretti a partire è drammaticamente deprimente. Gli interventi legislativi ed economici del centrodestra stanno producendo un deserto. Un deserto che diventa l'immagine di un paese con «le pile scariche». Tuttavia è necessario. E per discutere delle ragioni e dei modi per farlo abbiamo organizzato per domani, 30 novembre, a Roma una giornata di lavoro dal titolo «Valore Cultura», conclusa da Massimo D'Alema. Un governo responsabile e lungimirante non solo deve provare a rilanciare la cultura, ma deve farne un punto di forza del progetto di sviluppo del Paese. E non solo perché disponiamo di un patrimonio di beni, di risorse umane, di professionalità, di tradizioni, che ci rendono un paese unico al mondo, ma perché ce lo impone la nuova realtà economica e sociale. Come ha detto il Presidente della Repubblica Ciampi, investire nella cultura è per l'Italia una necessità anche economica. Siamo nel pieno di una trasformazione dal modello industriale di società alla società postindustriale, dalla produzione di beni materiali a una dimensione di maggior valore dei beni immateriali: la conoscenza, il benessere, la qualità della vita, la comunicazione, l'informazione. Vi è una sorta di «dematerializzazione dell'economia». Le analisi e le cifre, le esperienze in atto in Europa e nel mondo, dimostrano che il grado di competitività di un paese è direttamente proporzionale agli investimenti in cultura: i paesi scandinavi, il Regno Unito, la Germania, il Giappone sono anche i paesi che più investono in cultura e in industria culturale. Sono i paesi che si sono riconvertiti più rapidamente. Occorre superare una concezione della valorizzazione della cultura e dei beni culturali legata pressoché esclusivamente al tempo libero e al turismo, che è la concezione che porta a considerare la cultura come la cenerentola dei bilanci dello Stato e delle autonomie locali, come un lusso, anziché molla dello sviluppo, che crea ricchezza oltre a produrre coesione sociale, crescita civile, sicurezza. Riveste grande interesse una recente ricerca promossa dal Comune e dall'Università di Torino, che mostra come a fronte di un euro investito in cultura si ha una ricaduta sull'economia cittadina di 21 euro. Dunque, la cultura può creare ricchezza nelle città e sul territorio se si sostengono politiche integrate e concertate fra Stato, autonomie locali, istituzioni e imprese. Lo strumento che può essere utile a raggiungere lo scopo di una governance sapiente può essere un istituto che comincia a essere sperimentato in diverse regioni: il distretto culturale. Una rete di istituzioni, dal museo all'impresa artigiana, da una casa editrice a una Facoltà universitaria, a un pezzo di industria culturale, che costituiscono un progetto in grado di mettere in moto risorse non solo perché conferiscono identità a quel territorio e lo rendono unico, ma anche perché rafforzano la consapevolezza pubblica. C'è un passaggio nel protocollo dell'Unesco sulla diversità culturale che non può non guidarci nella strategia: «Le sole forze del mercato non possono garantire la conservazione e la promozione della diversità culturale, che è la chiave dello sviluppo umano sostenibile». Ne siamo convinti e per questo proponiamo canali per reperire risorse pubbliche da destinare alla cultura anche in una fase di grave crisi economica. Pensiamo che sia necessario destinare in modo permanente alla cultura una quota dell'otto per mille e una quota degli introiti delle estrazioni infrasettimanali del lotto, attribuendo le risorse al ministero dei Beni culturali, destinare interamente alla cultura le risorse gestite da Arcus Spa. Infine, pensiamo che sia possibile destinare alla produzione per il cinema e per lo spettacolo una quota degli introiti provenienti dalle transazioni pubblicitarie delle emittenti televisive, visto che proprio lo spettacolo e il cinema costituiscono i principali fornitori di contenuti per le televisioni, i providers e le telecomunicazioni. È chiaro che questi progetti, e si tratta di proposte condivise nell'Unione, si affiancano alle misure più urgenti, destinate a riportare il bilancio complessivo del ministero per i beni culturali almeno al livello del 2001. Tutto ciò è necessario perché possano ripartire l'industria cinematografica, gli spettacoli di qualità, si possano proseguire le attività di tutela, di restauro, di qualificazione e valorizzazione delle competenze e delle professionalità, si possano riaprire le porte ai giovani e ai talenti e promuovere la creatività: il bene più importante di cui possiamo disporre.
responsabile nazionale Ds per la Cultura
L'Unità
29 novembre 2005
INVESTIRE SI', MA IN CULTURA
È possibile ridare slancio alla cultura nel nostro Paese? Certo, il punto da cui siamo costretti a partire è drammaticamente deprimente. Gli interventi legislativi ed economici del centrodestra stanno producendo un deserto. Un deserto che diventa l'immagine di un paese con «le pile scariche». Tuttavia è necessario. E per discutere delle ragioni e dei modi per farlo abbiamo organizzato per domani, 30 novembre, a Roma una giornata di lavoro dal titolo «Valore Cultura», conclusa da Massimo D'Alema. Un governo responsabile e lungimirante non solo deve provare a rilanciare la cultura, ma deve farne un punto di forza del progetto di sviluppo del Paese. E non solo perché disponiamo di un patrimonio di beni, di risorse umane, di professionalità, di tradizioni, che ci rendono un paese unico al mondo, ma perché ce lo impone la nuova realtà economica e sociale. Come ha detto il Presidente della Repubblica Ciampi, investire nella cultura è per l'Italia una necessità anche economica. Siamo nel pieno di una trasformazione dal modello industriale di società alla società postindustriale, dalla produzione di beni materiali a una dimensione di maggior valore dei beni immateriali: la conoscenza, il benessere, la qualità della vita, la comunicazione, l'informazione. Vi è una sorta di «dematerializzazione dell'economia». Le analisi e le cifre, le esperienze in atto in Europa e nel mondo, dimostrano che il grado di competitività di un paese è direttamente proporzionale agli investimenti in cultura: i paesi scandinavi, il Regno Unito, la Germania, il Giappone sono anche i paesi che più investono in cultura e in industria culturale. Sono i paesi che si sono riconvertiti più rapidamente. Occorre superare una concezione della valorizzazione della cultura e dei beni culturali legata pressoché esclusivamente al tempo libero e al turismo, che è la concezione che porta a considerare la cultura come la cenerentola dei bilanci dello Stato e delle autonomie locali, come un lusso, anziché molla dello sviluppo, che crea ricchezza oltre a produrre coesione sociale, crescita civile, sicurezza. Riveste grande interesse una recente ricerca promossa dal Comune e dall'Università di Torino, che mostra come a fronte di un euro investito in cultura si ha una ricaduta sull'economia cittadina di 21 euro. Dunque, la cultura può creare ricchezza nelle città e sul territorio se si sostengono politiche integrate e concertate fra Stato, autonomie locali, istituzioni e imprese. Lo strumento che può essere utile a raggiungere lo scopo di una governance sapiente può essere un istituto che comincia a essere sperimentato in diverse regioni: il distretto culturale. Una rete di istituzioni, dal museo all'impresa artigiana, da una casa editrice a una Facoltà universitaria, a un pezzo di industria culturale, che costituiscono un progetto in grado di mettere in moto risorse non solo perché conferiscono identità a quel territorio e lo rendono unico, ma anche perché rafforzano la consapevolezza pubblica. C'è un passaggio nel protocollo dell'Unesco sulla diversità culturale che non può non guidarci nella strategia: «Le sole forze del mercato non possono garantire la conservazione e la promozione della diversità culturale, che è la chiave dello sviluppo umano sostenibile». Ne siamo convinti e per questo proponiamo canali per reperire risorse pubbliche da destinare alla cultura anche in una fase di grave crisi economica. Pensiamo che sia necessario destinare in modo permanente alla cultura una quota dell'otto per mille e una quota degli introiti delle estrazioni infrasettimanali del lotto, attribuendo le risorse al ministero dei Beni culturali, destinare interamente alla cultura le risorse gestite da Arcus Spa. Infine, pensiamo che sia possibile destinare alla produzione per il cinema e per lo spettacolo una quota degli introiti provenienti dalle transazioni pubblicitarie delle emittenti televisive, visto che proprio lo spettacolo e il cinema costituiscono i principali fornitori di contenuti per le televisioni, i providers e le telecomunicazioni. È chiaro che questi progetti, e si tratta di proposte condivise nell'Unione, si affiancano alle misure più urgenti, destinate a riportare il bilancio complessivo del ministero per i beni culturali almeno al livello del 2001. Tutto ciò è necessario perché possano ripartire l'industria cinematografica, gli spettacoli di qualità, si possano proseguire le attività di tutela, di restauro, di qualificazione e valorizzazione delle competenze e delle professionalità, si possano riaprire le porte ai giovani e ai talenti e promuovere la creatività: il bene più importante di cui possiamo disporre.
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