06 febbraio 2006

la calunnia, è un venticello....

su Articolo 21 un bell'articolo di Lorella Pieralli dell'Opera di Roma, che qui riportiamo integralmente.

La calunnia, è un venticello...
di Lorella Pieralli

Calunnia, calunnia, alla fine qualcosa resta...pare questa la leva di fondo che spinge in questi giorni una serie di personaggi autorevoli, o presunti tali, a inoltrarsi sul terreno scivoloso dei dati. Stiamo parlando ancora della presunta crisi delle Fondazioni lirico-sinfoniche, cioè dei teatri d’opera italiani.
Musicologi, Sovrintendenti, economisti su vari organi di stampa, da Torino a Palermo, passando per Napoli, hanno impresso una vistosa accelerazione a quello che non è (ahimè la par condicio) un dibattito ma un monologo...Pare insomma che il settore sia in grave crisi e che la colpa di tale crisi sia da attribuire a null’altro che ai faraonici stipendi dei dipendenti.
Cerchiamo di capirci qualcosa: il Governo ha di fatto dimezzato il finanziamento del fondo unico dello spettacolo, mettendo in ginocchio tutta la musica, ma non solo: anche il cinema, il teatro di prosa e quant’altro.
Tale “strategia” è stata pubblicamente giustificata dal presidente del consiglio in persona con un teorema secondo il quale, essendo la cultura tutta in mano alla sinistra, si può pure farne a meno.
Non molti giorni fa, l’associazione dei Sovrintendenti (anfols) ha tenuto una conferenza stampa presso l’Opera di Roma in cui ha presentato una scarna cartella dati, dove comunque emergeva un bilancio tutt’altro che scoraggiante della produzione e dell’afflusso di pubblico entrambi in aumento! E la crisi?
Quando un settore è in crisi, nel campo della produzione industriale ad esempio, di solito la domanda cala, il prodotto non interessa più come prima, e quindi la sovrapproduzione rimane invenduta e il suo valore di mercato scende. Secondo i dati forniti quindi, non si può dichiarare in crisi un settore in crescita ma tant’è. Siamo al paradosso. E’ un vero peccato tra l’altro non poter conoscere i dati disaggregati teatro per teatro, in modo da poter valutare l’operato dei singoli Sovrintendenti, per capire chi ha operato meglio o peggio.
Si favoleggia di privilegi e stipendi da sogno dei dipendenti, ma la media europea invocata da più parti non viene resa nota, lasciando spazio al dubbio che orchestrali e coristi italiani non siano poi realmente al di sopra di tale fantomatica media. Anzi alla conferenza stampa in questione il presidente dell’Anfols Vergnano ha dichiarato davanti ai giornalisti che gli stipendi italiano sono nella media.
L’eco di questa affermazione però si frange contro quelle di segno contrario espresse ad esempio da Sandro Cappelletto, o da G.Lanza Tomasi che continuano non solo a sostenere il contrario ma a proporre, come medicina miracolosa, il taglio degli stipendi e a chiedere un mandato (non si capisce a chi) per presentare piani industriali in un contesto che per definizione industriale non è, non può essere e , speriamo, non sarà mai. Per converso si difendono i costi degli allestimenti, si omettono nel fornire cifre, i costi dei cachet degli artisti, che sono, quelli sì, davvero rilevanti e superiori di un bel po’ alla media Europea, come candidamente ammesso da Zubin Metha.Tanto da spingere il ministero a emanare un calmiere.
Ci si guarda bene dallo spiegare invece che le orchestre, i cori, i corpi di ballo sono la materia prima di questa industria culturale, senza la quale andare ogni sera in scena sarebbe alquanto arduo, di conseguenza prelevare soldi dagli stipendi dei suddetti corpi artistici per sanare una cattiva gestione che risale a ben prima dei recenti tagli, ci pare quanto meno singolare. Val la pena di ricordare che i deficit vertiginosi dei nostri teatri d’opera sono stati una costante ininterrotta indipendentemente dall’entità del finanziamento: vuol dire che qualunque cifra lo stato, e di recente i privati, abbiano elargito,si è speso di più. I cachet dei cantanti, dei registi, dei direttori, con l’avvento dell’euro sono raddoppiati e con essi gli introiti delle agenzie...Agenzie le quali dettano i cartelloni secondo le proprie convenienze e disponibilità, costringendo i teatri a programmare non sulla base delle proprie risorse umane, professionali, organizzative che potrebbero essere così ottimizzate, per usare un termine aziendalistico.
I suddetti artisti hanno, nel 90% dei casi, la residenza e il conto corrente a Montecarlo e le agenzie che li rappresentano agiscono liberamente in totale assenza di qualunque regolamentazione, per dirne una, di antitrust,ciò che potrebbe spiegare la differenza rilevante dei cachet italiani rispetto al resto d’Europa con la verifica se esista o meno un “cartello”. Siamo il paese dei balocchi, di lusso. In questo senso interessante sarebbe una lettura comparata dei bilanci delle fondazioni, peccato che questo sia reso impossibile dalla disomogeneità della loro struttura anch’essa non soggetta ad alcuna regolamentazione. L’incidenza media dei costi del personale rispetto a quelli artistici è attualmente del 57% del finanziamento pubblico (dati anfols) per i primi. Se si considera che il finanziamento pubblico è calato progressivamente negli anni o nel migliore dei casi non ha avuto l’incremento a compensazione dell’inflazione, è evidente che l’incidenza dei costi del personale è salita non tanto per effetto degli aumenti di stipendio ma per effetto del calo del finanziamento. Per finirla: invece di chiedere mano libera per abbassare le retribuzioni dei lavoratori, sarebbe forse il caso di portare alla decenza il sistema delle agenzie, sostituire finalmente questi Sovrintendenti che si sono dimostrati nei fatti incapaci di gestire, allevare dentro i teatri una classe dirigente capace di dare un futuro al patrimonio dell’Opera Italiana che ha oramai più fortuna nel resto del mondo che nel suo paese d’origine...Al di là del necessario ripristino del Fondo per lo spettacolo, sembra quindi improcrastinabile una vera riforma sulla quale però né il sindacato né la sinistra pare aver nulla da dire. Un silenzio assordante.E se gli interlocutori di chi dovrà farla questa riforma sono proprio quelli che hanno fatto i “buchi” immaginiamoci le conseguenze: lasciare inalterata una discrezionalità già incredibile per gestire con il vestito da Manager privati i denari dei contribuenti ( e dei lavoratori). Insomma, cambiare tutto per non cambiare nulla.

1 Comments:

At 7/2/06 00:51, Anonymous Anonimo said...

posso solo dire FINALMENTE!!!
chiarezza, semplicità, pulizia e logica schiacciante ecco ciò che ho trovato in questo articolo.
Vorrei che tanti colleghi, e non, lo leggessero..
grazie

 

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