19 gennaio 2006

segreti e bugie

facciamo un riassunto della situazione. su "La Stampa" del 17/01 è uscito un articolo a firma Sandro Cappelletto, che è già stato riportato dai blog dei lavoratori di Napoli e della Scala, e che qui ricopio:

LA STAMPA 17/1/2006
Sandro Cappelletto
L'OPERA CORRE VERSO IL BARATRO
SI TAGLIA TUTTO,NON GLI STIPENDI

La Finanziaria ha ridotto i fondi per i teatri ma sprechi e privilegi resistono
Prevedibile e annunciato, ecco concretizzarsi, per i teatri d'opera italiani, l'effetto para
dossale dei tagli della Finanziaria sui fondi destinati allo spettacolo: si produce meno, ma naturalmente si continuano a pagare gli stipendi e così la percentuale delle spese fisse sale a livelli mai raggiunti, sfiorando l'80% dei bilanci.
«Non vogliamo diventare uno stipendificio», dichiarava a La Stampa poche settimane fa Walter Vergnano, responsabile del Teatro Regio di Torino e presidente dell'associazione che raggruppa i sovrintendenti. Eppure: Firenze cancella tre titoli, Venezia due, Bologna decide questa settimana, a Palermo ci pensano i dipendenti, programmando scioperi, a Genova - dichiara il sovrintendente Gennaro di Benedetto - «nonostante il taglio di tutto ciò che è cancellabile, sarà necessario presentare un bilancio passivo di 5 milioni». Sessantadue milioni di finanziamento pubblico in meno in due anni: a questa botta le 13 case dell'opera italiane non sembrano in grado di reagire, a meno di non ripensare radicalmente contratti, normativa, funzionamento.
Elementare legge economica: se le macchine sono ferme, ma il costo del capitale umano corre, il fallimento non è un'ipotesi lontana. «No a ridurre l'attività al minimo, no a ridurre il personale», dice oggi Vergnano, dopo un incontro con il ministro Buttiglione. «No nemmeno a nascondere i passivi con i falsi in bilancio: il governo deve commissariare i teatri». E' accaduto, 20 anni fa, all'Opera a Parigi, poi negli Armi '90 al Covent Ga
rden di Londra: situazioni economiche compromesse hanno portato alla chiusura e alla riapertura su basi contrattuali diverse.
Regole da parastato

«Il ministro ci invita a rivolgerci agli enti locali - incalza Di Benedetto - ma come potranno Comuni e province, con i finanziamenti tagliati, impegnarsi di più proprio con noi?». L'invito a lavorare meno è arrivato, per primo, da fonte autorevole: Salvo Nastasi, direttore generale al ministero dei Beni Culturali e commissario del Maggio Musicale Fiorentino. Ma a quale dei due emisferi del mondo del lavoro - il pubblico o il privato - appartengono i teatri d'opera? I dubbi sono impossibili, sembrerebbe: la condizione giuridica li considera fondazioni di diritto privato. «Però, regole e mentalità sono rimasti quelli del peggiore parastato», riflette il baritono e direttore Claudio Desideri, dopo un'amara esperienza come sovrintendente al Massimo di Palermo. La media di lavoro di un orchestrale è di circa 400 ore all'anno, per un corista l'impegno è ancora minore e, spesso, gli organici sono sovradimensionati. Le mensilità sono quasi ovunque 15, l'impegno lavorativo è di cinque-sei mesi. Gli stipendi di chi lavora nei settori amministrativi, tecnici e dei servizi sono superiori a quelli di chi svolge funzioni analoghe in altre amministrazioni pubbliche. In alcuni casi si giunge al doppio.
La normativa che disciplina le prove musicali, corali e dei corpi di ballo è un labirinto di eccezioni, con frequenti contrattazioni aggiuntive e integrative, alcune singolari, come l'ind
ennità estiva, detta «Caracalla», per i dipendenti dell'Opera di Roma. Il clima non è mai sereno, la frantumazione sindacale - ci sono teatri con sette sigle - provoca continui rinvii, blocchi, tensioni: «Non abbiamo alcun controllo sui nostri iscritti nei teatri», ammise Sergio Cofferati, che ama l'opera, quando era segretario della Cgil. Oggi, Enrico Sciarra, astuto sindacalista autonomo, attivo nella direzione del teatro di Firenze, ammette: «In questi anni abbiamo sempre avuto una controparte debole». I sovrintendenti hanno spesso accettato regole capestro pur di garantire la pace interna, richiesta dai sindaci di città nelle quali i teatri d'opera rappresentano realtà occupazionarie ed elettorali importanti: 800 dipendenti La Scala, 600 Roma.
Molti malumori, a Roma, suscita il contratto di Carla Fracci, direttrice del corpo di ballo, però pagata a parte ogni volta che danza - «e come danza, ormai?», malignano alcuni - e responsabile, assieme a Beppe Menegatti, delle scelte e dei contratti dei danzatori. E perché Firenze - si chiedono i sindacati - tiene a contratto due validissimi responsabili artistici, Gianni Tangucci e Cesare Mazzonis? Non ne basterebbe uno? Perché Parma scrittura per un concerto il direttore Kurt Masur con un cachet superiore ai suoi standard?
Bilanci opachi
Perché al San Carlo di Napoli sono frequenti le costruzioni di scene e costumi affidate non ai laboratori interni, ma ad imprese alle quali non sono estranei, in alcuni casi, i dipen
denti dello stesso teatro? E sono tutti indispensabili i 40 aggiunti al ballo della Scala? E - domanda di fondo - perché queste informazioni devono arrivare anonime, mentre è così difficile consultare i bilanci?
La situazione non è, economicamente, brillante per nessun teatro europeo, ma solo in Italia tagli, privilegi, cecità sindacale e politica hanno portato a questa situazione così incerta. Ecco la questione capitale: quanto siamo disposti a investire per la musica? E quanto si può concedere e quanto invece si deve pretendere?
questo articolo ha suscitato le risposte sdegnate di molti colleghi in varie parti d'italia. riporto qui le risposte che gli hanno inviato tre delle sbrecche, mentre altre (da altri teatri) si trovano nei commenti del Sottoscala:
Egregio Signor Cappelletto,
sono una corista del Teatro Regio di Torino. Lavoro tutti i giorni, tranne il lunedì. Qualche volta ho la domenica libera. Il mio lavoro è un lavoro altamente specializzato e il mio stipendio è di circa 150
0 euro netti al mese. Percepisco la tredicesima e la quattordicesima. Ogni giorno, oltre alle ore di lavoro in teatro, come ogni bravo atleta, devo esercitarmi costantemente per mantenere un livello qualitativo adeguato. Le risparmio la tiritera sui sacrifici fatti per raggiungere il livello professionale che mi ha permesso di fare dell’arte un lavoro retribuito. Le voglio ricordare soltanto che l’impegno giornaliero richiesto dal mio lavoro, e dal lavoro di un professore d’orchestra, è decisamente superiore al numero di ore effettivamente lavorate. Non solo. Anche durante le vacanze mi devo continuamente esercitare. Tutte queste ore di lavoro non mi vengono retribuite in busta paga, ma personalmente le ritengo comprese lo stesso nello stipendio che percepisco. Se però per il bene dei teatri, della cultura e del mondo queste ore devono essere certificate, ben venga, mi si metta lo studio in orario di lavoro, ne sarò molto contenta. Anzi, ne approfitto per proporlo, giacché si deve ridiscutere il nostro contratto nazionale. Magari poi, se le ore di studio fossero calcolate come ore di lavoro, il costo delle lezioni potrebbe essere detratto dalle tasse, anziché dal mio stipendio….

Leggendo il suo articolo mi sono sentita una specie di ladra oltre che fannullona. Come, noi musicisti lavoriamo sei mesi l’anno? Come, prendiamo 3.000 euro di stipendio al mese? E allora come mai non riesco neanche a comprarmi una casa? Cosa ci faccio con tutti questi soldi che Lei è così è così sicuro che io guadagni, manco fosse Lei a compilare la mia busta paga? Ma soprattutto mi sono sentita colpevole di tutti i mali del mondo, o almeno di quelli del mondo della lirica. Ecco perché i teatri devono tagliare dei titoli: è il mio stipendio che prosciuga le casse della fondazione presso cui lavoro!

Stasera quando indosserò il mio costume da studente, nuovo nuovo, fatto interamente di pelle scamosciata, completo di stivali fatti su misura per l’occasione (unica e irripetibile) in vitello morbidissimo, penserò alle casse del teatro, prosciugate dal mio stipendio da nababbo; e quando incrocerò i miei colleghi nei loro lussuosi costumi da borghesi, di seta pura, mi verrà da domandarmi: ma sarà poi vero che è il mio stipendio a mandare in malora i teatri italiani? Scaccerò questa domanda impertinente: se lo ha scritto il signor Cappelletto sulla Stampa, cosa voglio saperne io?

La invito, signor Cappelletto, a venire a parlare con noi del Movimento Spontaneo, sorto in questo periodo gramo per la cultura e per i teatri, e perché come lavoratori non ci sentiamo tutelati e anzi, ci sentiamo in pericolo, e la invito a scrivere un nuovo articolo sull’argomento, dopo essersi meglio informato di come vanno le cose.
Grazie,

Chiara Lazzari

poi gli ha scritto caterina:
Gentile Signor Cappelletto,
ho avuto la sua mail dalla Stampa di Torino.
Sono una dipendente del Teatro Regio di Torino, sono anche parte di un nuovo movimento che sta nascendo tra i lavoratori delle fondazioni lirico sinfoniche italiane. Il movimento è nato proprio per sensibilizzare il pubblico sulle questioni di cui lei tratta nell'articolo uscito sulla Stampa di oggi. Sono sicura che lei, cosi come La Stampa, siete interessati a riportare in maniera distaccata e "super partes" anche i dati che potrebbero fornirle i dipendenti di un teatro, non solo quello che a tal proposito asseriscono il M°Desderi ed il Dott. Vergnano. Mi chiedevo anche come mai quando si riportano le cifre dei compensi non si chiarisca mai se si parla di lordo o netto..
Grande è la differenza.
Se le cifre riportate sono lorde, questo dovrebbe essere indicato chiaramente in maniera che il lettore possa concordare sul fatto che uno stipendio LORDO di 3.000 euro non si puo affatto ritenere altro che uno stipendio "medio" (il mio netto mensile per esempio oscilla tra i 1400 e i 1600 euro). Se invece fossero cifre nette, si riferiscono senz'altro a qualche carica dirigenziale, e non , come indicato, ad un orchestrale di fila, a tal scopo possiamo in qualunque momento produrre copia dei nostri cud e modelli 730.

Per quanto riguarda lo stipendio degli amministrativi, trovo che generiche indicazioni come "doppio" e "alcuni casi" non vadano certo a favore nè della verità nè della trasparenza giornalistica: anche qui si producano cifre documentate e confronti alla pari.
Sono ben conscia che le suddette frasi consistano in dichiarazioni riportate e non in dati da lei estrapolati, e proprio per questo le chiedo,nel nome della buona fede e chiarezza giornalistica di dar spazio anche alle voci, cifre e buste paga alla mano, dei lavoratori. Lo stesso medesimo discorso vale per la faccenda degli orari e dei mesi di lavoro. Probabilmente potrebbe essere accaduto sporadicamente che una prima parte orchestrale abbia, per qualche motivo, lavorato solo 6 mesi o che qualche orchestrale di fila abbia guadagnato in un determinato mese, per via di qualche conguaglio o altre occasioni speciali, 3000 euro, ma lei concorderà con me che riportarlo come realtà quotidiana e regola fissa equivale a fare quella che si nomina spiritosamente la "media del pollo".
Purtroppo gia da molti mesi le informazioni non veritiere sul nostro lavoro danneggiano l'immagine di una massa di lavoratori che dopo anni e anni di studio altamente specializzato, e di servizio artisticamente qualificato in un ente lirico, si vedono accusati di essere i responsabili dei disavanzi di bilancio de
i teatri e si vedono vessati da tagli e decreti legge che minacciano di metterli su una strada. A tal proposito mi permetto di allegarle un documento che abbiamo recentemente diffuso a proposito delle leggi che cercano il risparmio sulla pelle dei dipendenti come il Decreto Asciutti, è stato già pubblicato su Amadeus Online e verrà reso noto anche da altre testate.
Sarebbe molto interessante che lei e La Stampa voleste dare, in un successivo articolo, spazio agli argomenti dei dipendenti che, anche se non hanno nomi famosi, le assicuro, possono fornire informazioni altrettanto interessanti e molto piu imparziali. Quest'eventualità dimostrerebbe la vera natura trasparente ed equidistante della testata e di chi vi scrive.
Ringraziandola anticipatamente le porgo i miei più
Cordiali Saluti
Caterina Borruso, coro del Teatro Regio di Torino

e infine pierina:
Egregio Signor Cappelletto,

ho sempre letto con piacere e attenzione i suoi articoli ma, in merito a quello apparso ieri sulla Stampa, devo comunicarle che ha scritto cose molto inesatte riguardo agli stipendi e al lavoro dei dipendenti dei Teatri, e credo che un giornalista della sua importanza dovrebbe verificare sempre con attenzione le informazioni che riceve.
Sono una corista del teatro Regio di Torino, il mio stipendio è di 1600 euro netti al mese e ho studiato 10 anni per arrivare a vincere il concorso per entrare nel coro.
La mia giornata tipo è quella di oggi: mi alzo alle 7, accompagno mio figlio a scuola, torno a casa e faccio i lavori che fanno tutte le casalinghe, poi studio canto, un'ora di vocalizzi e un'altra ora di repertorio. Vado a prendere mio figlio a scuola, pranzo con lui e lo porto dalla nonna. Dalle 16 alle 18 abbiamo le prove di sala in Teatro, ovvero studiamo le prossime opere (Carmen e Bohème) guidati dal nostro maestro del co
ro; finita la prova faccio una merenda (alle 18) e poi mi preparo per la recita. La preparazione per la recita va fatta di norma un'ora prima dello spettacolo, talvolta richiede anche più tempo. Si passa dall'acconciatura al trucco, poi la vestizione. Alle 20 comincia la recita, fino alle 23. Mi strucco e mi svesto e verso le 24 sono a casa.
Io faccio un lavoro che mi piace, e questa non è una colpa. Guadagno in modo appena sufficiente per mantenere me e mio figlio, per pagarmi le lezioni di canto e un mutuo su una casa, e anche questa non è una colpa. La colpa è che milioni di italiani non arrivano alla fine del mese e prendono stipendi insufficienti non solo in relazione alla qualifica del loro lavoro (si pensi agli insegnanti), ma anche in relazione al costo della vita.
Mi sa dire di chi è la colpa?
La prossima volta che le viene in mente di colpire un settore vada a vedere gli stipendi di coloro che guadagnano davvero molto e verifichi in quale percentuale pagano le tasse.
Un lavoro come il nostro ha una grande specializzazione e il risultato è la qualità, non la quantità, ed in ogni caso può apprendere (da fonti attendibili, magari!) che il nostro monte ore non è così ridicolo come lei lo ha descritto.
Vede, per leggere un suo articolo bastano 5 minuti, ma lei per scriverlo può impiegare delle ore, può aver bisogno di adoperarsi in ricerche che richiedono molto tempo. Cos'è che lei definisce lavoro? L'articolo in sé o il tempo che le ha richiesto la stesura? Spero possa darmi delle risposte.

Sarebbe molto facile che io le indicassi dove avvengono degli sprechi inauditi, ma non ho bisogno di svelare le pecche della realtà di cui faccio parte per difendere il mio mestiere.
Lo sa perché si vogliono colpire le Fondazioni lirico sinfoniche? Io non lo so, ma mi sono informata e ho scoperto che i fondi destinati alla cultura non incidono così pesantemente sullo Stato come si vuol far credere, anzi. La cultura produce benessere, sia morale che economico, e questo non lo dico io, lo sostiene una ricerca tecnica condotta da professori di economia sul volume d'affari generato dalle imprese legate al turismo e allo spettacolo.
In ogni caso non dovrei cercare di dimostrare che la cultura rende, anche se credo che molte persone debbano saperlo. Alla sanità chiediamo di funzionare come un'industria? E all'istruzione? Forse bisogna ragionare sul fatto che la cultura è importante quanto la sanità e l'istruzione.
L'opera lirica va difesa alla stregua di qualsiasi opera d'arte.

Pierina Trivero
ieri, poi, è uscito un altro grande ed analogo articolo su Il Giornale, a firma Pier Francesco Borgia, che riporta le stesse fantasiose tabelle riguardanti i compensi ed è accompagnato da un'intervista ad un grande pensatore, nientemeno che l'opinionista Zecchi. ed eccovelo qua: cliccate sull'immagine per visualizzare la pagina del giornale in formato pdf.


10 Comments:

At 19/1/06 14:36, Anonymous Anonimo said...

sei fantastica!
sai a che mi riferisco!
bando alle ciance
lavoratori uniamoci e cerchiamo l'indirizzo di zecchi.....
si merita la nostra risposta

 
At 19/1/06 15:34, Anonymous Anonimo said...

anche Zecchi dice la sua! ma non si accontenta di rompere i coglioni dalla tv? una volta si diceva: braccia rubate all'agricoltura

 
At 19/1/06 23:46, Anonymous Anonimo said...

oggi si potrebbe dire "testicoli rubati ad un pene".

 
At 20/1/06 00:41, Anonymous Anonimo said...

Ma Zecchi non ha altro da sparare? Ma proprio a lui dovevano chiedere un parere? Inviamo anche a lui una bella seie di email! E chi lo deciderà quali enti finanziare? é una vergogna, gente che si permette di decidere sul futuro della cultura, della tradizione e soprattutto dei dipendenti!!

 
At 20/1/06 01:00, Anonymous Anonimo said...

Per fortuna che Zecchi ha pure scritto il libro "l'uomo è ciò che guarda" dove critica le pocherie che fanno in tv!! Chi non avrà nulla da vedere in tv perchè come dice lui non c'è nulla di educativo, dovrà recarsi in uno dei pochi teatri che sopravviveranno magari a centinaia di km dalla sua città per sentire un'opera lirica. L'unica email del Prof Zeccha pardon Zecchi è stefano.zecchi@unimi.it ma mi sa che è quella universitaria chissà se la legge lui o il suo sostituto visto che il prof è continuamente impegnato in comparsate tv dove con faccia sempre entusiasta... e piena di gioia... dispensa perle di saggezza.....

 
At 20/1/06 11:14, Anonymous Anonimo said...

Io vorrei tanto sapere quant'è che guadagna il sor Zecchi, a monte delle ore in cui ci sfracassa i maroni da tv, giornali e quant'altro, vorrei sapere quante ore d'insegnamento effettive svolge all'università, ovvero per quante ore è lui realmente a parlare d'estetica ai suoi studenti anziché uno dei suoi assistenti...perché invece di fare il tuttologo di 'sta cippa non fa il lavoro suo?
E se vi raccontassi quanto guadagno io facendo l'-*ehm*-architetto dalle 9 alle 18 in uno studio che odio ogni giorno di più, ma pure io devo campare, e poi i soldi per pagarmi le mie inutilissime lezioni di canto (inutilissime perché lo faccio solo per mio trastullo personale, ho iniziato tardi, non faccio parte di un organico, non faccio parte di niente, però mi costa meno e mi rende più felice andare a lezione di canto che andare dall'analista. Hoc satis.), nonché per mangiare e pagare il mutuo (e poi non rimane più niente, alé.) dove dovrei andarli a prendere, sennò? Me li dà il sor Zecchi? Me li dà Cappelletti?

 
At 20/1/06 11:27, Anonymous Anonimo said...

(CappellettO. Vabbè. Il concetto rimane il medesimo.)

 
At 20/1/06 15:42, Anonymous Anonimo said...

Io avevo già scritto alla zecca ma la mail tornnò indietro perché a quell'indirizzo non rispondeva più. Mi sa che è proprio quello che ha indicato qualcuno sopra...e io che gli avevo scritto per sensibilizzarlo al nostro problema...

 
At 21/1/06 23:30, Anonymous Anonimo said...

W gli architetti!

 
At 22/1/06 07:58, Anonymous Anonimo said...

W gli architetti melomani sottopagati!

 

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